di Angelomauro Calza

“C’è chi predica oggi che per arginare il flusso dei migranti bisognerebbe chiudere le frontiere. Eggià, ma con quale motivazione? Si può fare solo adducendo motivi di salvaguardia della salute pubblica. L’ho fatto solo io negli ultimi 25 anni. Solo io ho avuto il coraggio di chiudere le frontiere, perché c’era pericolo di contaminazione radioattiva e a mio parere quel pericolo ancora c’è in Italia”.

Nicola Savino

Nicola Savino

A parlare è l’ex Sottosegretario alla Sanità, Nicola Savino, che va così a riprendere il racconto iniziato qualche giorno fa, quello di un carico di sigarette radioattive che sarebbe dovuto arrivare sui mercati del contrabbando di bionde in Italia.

Ma quali sono questi pericoli della salute pubblica di cui parla Savino, oggi, a tanti anni di distanza?… onorevole, non è che hanno ritrovato le sigarette?

“No – risponde – che sigarette… qua la situazione è molto più grave, bloccai le frontiere per nove mesi. All’epoca (estate 1993) ero delegato all’Igiene del ministro Garavaglia. Un giorno una delegazione della Regione Lombardia venne a trovarmi e mi avvertì di strani movimenti alla stazione delle Ferrovie di Brescia dove a loro parere stava stazionando un carico di ferro destinato a famosi stabilimenti siderurgici della zona. Intervenni immediatamente – continua Savino – e dai rilevamenti risultò una radioattività al di sopra della norma, per cui feci perimetrare i 600 metri quadri della stazione dove erano fermi, in attesa di essere scaricati, i vagoni con il ferro incriminato”.

Ma da dove arrivava questo carico?

“Dall’estero. Partiti sicuramente dall’Ucraina, ma arrivati dopo chissà quali giri per l’Europa. Stavano smantellando Chernobyl e il ferro vecchio lo vendevano in Italia, dove le aziende lo acquistavano di corsa perché il prezzo era molto vantaggioso; poi si fondeva – continua Savino – ma restava radioattivo, con tutta la carica distruttiva e pericolosa che aveva. Veniva poi trasformato in tondini, quelli che servono per armare il cemento delle costruzioni, per cui finiva in circolo e contaminava (e sarebbero ancora contaminate ndr) chissà quante costruzioni in tutta Italia e pure all’estero. La delegazione mi disse che già un altoforno era stato bonificato proprio per l’alta radioattività che aveva accumulato”.

E lei cosa fece, allora?

Chiamai i sindacati e tutti i partiti, anche la Lega, e d’accordo con loro costituii al Ministero un Ufficio apposito, che affidai ad una funzionaria molto capace,  che mi pare si chiamasse  Belluta. Poi emanai un decreto con cui, utilizzando gli spazi concessi dal Trattato di Roma, per motivi di salute chiusi tutte le frontiere per impedire l’ingresso del ferro lasciando solo due ingressi: uno al Brennero che controllava l’entrata in Lombardia, dove stavano le fonderie, con i costosissimi controlli con metal detector effettuati a spese della Regione Lombardia, e un altro a Trieste, a Villa Opicina, con i Vigili del Fuoco che controllavano minuziosamente a spese del Ministero”.

Ma il ferro arriva anche per nave. Come faceva a controllare i porti?

Nicola Savino

Nicola Savino

“Diedi disposizioni per cui le navi che trasportavano ferro dovevano avvisare del loro arrivo due giorni prima dell’attracco, così da rendere possibile l’organizzazione dei controlli. Grazie a questo provvedimento, con l’aiuto anche dell’Ispesl, l’istituto che all’epoca si occupava dei controlli di sicurezza, riuscimmo a bloccare l’ingresso in Italia di 3.600 tonnellate di ferro radioattivo. Inoltre dotammo di metal detector tutte le stazioni ferroviarie interessate: solo dopo i controlli, sia pur sommari, degli ispettori dell’Ispesl veniva dato il nulla osta allo scarico”.

Nessuno stratagemma fu usato per aggirare i controlli?

“Ricordo solo che venne fermato al Brennero un carro bestiame con 40 tonnellate di ferro. Ma il problema vero era che in Italia non esistevano luoghi adatti allo smaltimento di questo ferro radioattivo, non c’era un sito idoneo allo scopo, per cui il carico restava là, fermo, intorno ai vagoni”.

E quindi, una volta accertato che un carico di ferro era radioattivo, come si procedeva?

“Quindi, il primo atto, d’accordo con i sindacati, fu quello di bloccare le frontiere, innanzitutto, per poi procedere ad incontri molto delicati, in cui con gli stessi sindacati e con le più grandi aziende siderurgiche si decise di installare dei metal detector giganti “prima” delle frontiere, con la motivazione verso l’Austria che servivano “per motivi sanitari”. La spesa preventivata era di 7 miliardi, equamente divisi: 3 miliardi e mezzo a carico delle aziende, e gli altri 3 e mezzo a carico del Ministero. E dovetti impegnarmi non poco per trovare i soldi. Ci riuscii grazie ad un funzionario del Ministero, che si chiamava Toti, che analizzando tutti i conti, riuscì a scoprire che c’era una gara che si poteva annullare, e quindi il Ministero ebbe a disposizione i 3 miliardi e mezzo da investire”.

Nicola Savino

Nicola Savino

E quindi il problema fu risolto così…

“No!… che risolto?… fu tutto bloccato dal Ministro Garavaglia, che, sentendosi probabilmente scavalcata, bloccò tutto perché voleva che venissero effettuati accertamenti più accurati. Così poi finì la legislatura, cambiò il Governo, cambiarono i soggetti, dal ministro ai sottosegretari, e della cosa non si seppe più niente”.

E lei? Da ex sottosegretario e artefice di tutta la vicenda, non fece pressioni, per tentare di scongiurare che tutto cadesse nel dimenticatoio?

“Dopo la Garavaglia, fu nominata ministro della Sanità Rosy Bindi, alla quale chiesi più volte un incontro, ma non mi ricevette mai, per cui le scrissi una lettera, che pure rimase senza risposta. Lo stesso sottosegretario Condorelli ignorò le mie richieste. Dopo qualche tempo però la Bindi, non più ministro, la incontrai per caso nell’infermeria della Camera, dove eravamo andati tutti e due per una misurazione della pressione. Le chiesi se avesse ricevuto la mia lettera e lei mi rispose con un sorriso sornione: “Ancora con la sanità?”… e si svincolò dall’argomento”.

E quindi, in conclusione?

“In conclusione secondo me il problema è ancora aperto: che tipo di ferro arriva ancora oggi nelle ferriere? Stiamo sicuri veramente?”

E che risposta si è dato?

“Secondo me, no!”