Le strategie del Tycoon sono finalizzate prevalentemente a riacquistare il debito dalla Cina e ad evitare che la produzione di microchip di Taiwan vada in mano ai cinesi

 

di Angelomauro Calza

 

Usa e Cina: distensione a tempo o duratura?

L’impressione che Donald Trump sta dando al mondo è che stia girando a ruota libera senza inforcare una direzione precisa, quasi non sapesse dove andare a parare. Ma può davvero uno come Trump non avere una idea ben costruita? E’ legittimo pensare, al di là dell’immaginario collettivo, che sa fin troppo bene cosa fare, ma getta fumo negli occhi e ancora non lo dice? E la sua sia una strategia studiata apposta per non far comprendere il suo obiettivo? Sicuramente sarà così. Ma, a questo punto, quale potrebbe essere l’obiettivo reale di Trump? Considerando che gli Usa sono in default, potrebbe essere che l’intento del Tycoon sia quello di far abbassare la quotazione del dollaro per poi poter riscattare il forte debito contratto con la Cina: il debito USA è tutto nelle mani dei cinesi, quindi farebbe abbassare il dollaro per acquistare il debito a un costo più basso, e ripartire sarebbe una operazione chirurgica. Lo scontro con i cinesi ci sarà, e questa potrebbe essere una motivazione. Svalutando la moneta sarebbe più conveniente riacquistare il debito. In realtà gli Usa non ce la fanno più a sostenere tutte le spese, stanno cercando di riportare nei confini della confederazione la produzione, far aumentare la manifattura. Per i chip sarà impossibile: per ripartire, per produrre i chip che stano producendo altrove ci vorranno non meno di venti o trenta anni. L’errore è stato fatto prima, negli anni ’60, quando gli Usa decisero di delocalizzare su Hong Kong. La sciocchezza è stata quella di portare fuori dagli Usa le aziende, farle produrre prevalentemente in Oriente. L’hanno commesso due volte: quando con i giapponesi ci fu il sorpasso negli anni ’80 che fu limitato, però aprirono poi le altre aziende in Corea e a Taiwan per controbilanciare e ci riuscirono, ma avevano dall’altra parte solo l’Unione sovietica che investiva molto in armi, ma tecnologicamente erano fermi. Infatti hanno solo le testate nucleari, ma non hanno armi efficaci ad alta tecnologia. La storia parte da lontano, qundi, negli anni quando da Mao la Cina passò alle intuizioni di Deng Xiao Ping, In quel periodo  gli Stati Uniti pensarono bene di delocalizzare le loro produzioni perché in Oriente il costo del lavoro era molto più basso, come del resto lo è ancora. Il risultato è che oggi il 40 per cento dei chip viene prodotto a Taiwan, che rappresenta il vero fulcro della questione. La Cina punta a riprenderla per questo, gli Usa tendono a non far riuscire l’operazione per lo stesso motivo. Al momento sul tavolo ci sono quattro opzioni studiate dal Pentagono dopo essersi posti la domanda più ovvia: cosa facciamo se la Cina si riprende Taiwan? La prima è la guerra. La seconda: nel caso in cui la Cina dovesse fare un blocco navale (perché prima non aveva la flotta, ora la tiene) cosa si fa? Prima bastavano una portaerei o una fregata che si affacciassero da quelle parti e la Cina si ritirava in buon ordine. Ora non è più così, i cinesi hanno flotta e anche isole artificiali. Cosa farebbero allora gli Usa in caso di blocco navale? Unica cosa è la guerra. Anche in questo caso. Hai a che fare con i cinesi però, non con i russi, e questo rappresenta un grosso problema.

Taiwan

La Russia fino a qualche anno fa, sin dall’epoca di Obama, era considerata potenza regionale, perché al tirar delle somme ha, sì, le testate nucleari, ma le ha anche Trump, i russi non hanno armi tecnologicamente di livello, tant’è che devono ricorrere all’Iran, la Cina invece è in possesso di tecnologie avanzate e sofisticate. Terza ipotesi: Trump dice “li facciamo entrare in società”. Bene, è una soluzione, ma a quel punto i cinesi verrebbe a conoscenza di tutto quel che è la produzione, il know how, significherebbe che gli Usa perderebbero il primato e la proprietà intellettuale di tanti progetti: rinuncerebbe? E, nel caso, una volta socializzati, cosa farebbero i cinesi subito dopo? Una siffatta soluzione non sarebbe possibile. Se ne era reso conto persino Biden dopo il Covid. Infatti la sua preoccupazione era proprio Taiwan. Molti suggeriscono di aprire in Europa, ma secondo alcuni studi per poter stare a livello ci vorranno minimo vent’anni. Quarta ipotesi: gli americani pongono in essere un blocco navale, schierano le loro navi a protezione di Taiwan, prima della Cina. Beh, anche in quel caso ci sarebbe uno scontro. Ora per esempio la Cina ha anche un missile supersonico tecnologicamente avanzatissimo, per cui arriva nell’atmosfera e scende perpendicolarmente per colpire una nave con estrema precisione. Può essere rilevato dai sistemi solo quando non c’è da fare più niente. Al tirar delle somme ci sono quattro ipotesi, ma ben tre contemplano una guerra e una un accordo commerciale sfavorevole per l’America. E questo spiega il grande interesse di Musk che si è schierato al fianco di Trump: I cinesi è dagli anni ’80 che lavorano sui microchip, mentre gli Usa puntavano sulla sulla finanza e cercano di moltiplicare i loro guadagni risparmiando sui costi di produzione. Un telefono Apple che in Cina viene a costare 100 dollari fuori dall’Impero viuene rivenduto a 1500 dollari: enormi ricavi! Gli americani questi soldi li reinvestono nella finanza, infatti c’è stato ormai il sorpasso della finanza sulla politica. Quando Clinton aprì al commercio con la Cina fu costretto ad aprire dalle aziende americane perché le aziende americane erano a loro volta costrette dalla Cina: in buona sostanza gli fu detto che se volevano continuare a produrre a pochi soldi in Cina, la Cina doveva entrare nel WTO, World Trade Organization, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, e a condizioni favorevolissime. Clinton lo disse: “fui costretto dalle aziende americane”. Poi la politica negli Usa è pressochè finanziata dalle aziende, è diverso dall’Italia, ma ci stiamo arrivando anche noi. Vedi l’Europa e le lobby. Siamo là. Questo è un quadro realistico, e in questo contesto si comprende bene come la vicenda Russia-Ucraina sia solo secondaria rispetto ai veri, grandi rischi di guerra che il mondo sta correndo.

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