Già nell’ottobre 2018 Pittella lasciò agli altri che non seppero però approfittarne. Da allora Pittella tira dritto per la sua strada, il PD non ha saputo ancora trovare un candidato interno. La situazione è in fase di stallo da cinque anni: qui l’humus della candidatura di Chiorazzo. Tutto ciò a danno delle generazioni di lucani che verranno.

di Angelomauro Calza

Marcello Pittella

Ogni tanto bisogna rileggere i fatti del momento alla luce anche di una rilettura dei fatti della storia. E per rileggere i fatti, con un moscerino che mi volava impazzito nella testa tanto veloce da non riuscire a focalizzarlo, ho inserito nella sezione di ricerca del sito di angeloma.it due parole: “lettera Pittella”, e il risultato della ricerca mi ha acceso qualche lampadina. Leggeteli anche voi, questi due articoli del 12 ottobre 2018 e del 17 gennaio 2019, nella fase pre-elettorale di cinque anni fa, e poi magari mi dite se trovate o meno similitudini con la situazione attuale, ecco i due link: questo quello del 12 ottobre 2018: https://www.angeloma.it/politica/pittella-polese-locantore-tre-lettere-per-una-coalizione/ e questo quello del 17 gennaio 2019: https://www.angeloma.it/politica/ultima-da-roma-il-vangelo-di-pittella-chi-mi-ama-mi-segua-da-solo-contro-tutti-ha-gia-sconfitto-don-chisciotte/. Ad una lettura attenta dei fatti dell’epoca appare chiaro oggi che le resistenze di Marcello Pittella verso Chiorazzo che si traduce nei fatti in avversità verso una necessaria e fondamentale unità del centrosinistra come conditio sine qua non per battere il centrodestra, siano in realtà resistenze che affondano le radici in quei suoi atti di accusa al Partito Democratico che risalgono già all’epoca delle sue dimissioni da Presidente. Una ferita rimasta evidentemente aperta, non ancora rimarginata, che si cerca oggi di curare dopo aver bloccato per anni il sangue con un semplice laccio emostatico: una cura che la cicatrizzi definitivamente.

Mario Polese mentre parla con i giornalisti (ph. Luisa Calza)

Mario Polese mentre parla con i giornalisti (ph. Luisa Calza)

Ad ottobre 2018, nella lettera inviata ai media, Pittella volutamente chiamò pubblicamente (che sennò la inviava al suo segretario regionale e amen!) il Partito Democratico a precise responsabilità politiche. In buona sostanza, tralasciando ragionamenti dell’epoca, il sunto è che annunciò sua rinuncia, seppur forzata, a candidarsi. E quale migliore occasione per chi nel PD lo avversava? Sembrava quindi un capitolo chiuso. A riaprirlo ci pensò lo stesso Pittella, però, ma non subito: dopo tre mesi. Tre mesi durante i quali il PD un nome nuovo che potesse succedergli non riuscì a trovarlo per le schermaglie interne che non portarono ad alcuna conclusione. Ecco che allora, il 17 gennaio, nel corso di un pranzo che doveva essere rappacificatore, Marcello Pittella notificò a Mario Polese (all’epoca segretario regionale) e a Vito Giuzio, all’epoca Presidente dell’Assemblea regionale del PD che era sua intenzione ricandidarsi.

Il Presidente dell'Assemblea PD, Vito Giuzio

Il Presidente dell’Assemblea PD, Vito Giuzio

Non solo: candidarsi a Presidente, ma anche come capolista di una lista tutta sua. Quel giorno Polese e Giuzio si erano recati al pranzo certi di riuscire a convincerlo di presentare lui stesso pubblicamente il suo successore, che rispondeva allora al nome di Rocco Colangelo. Invece arrivò la doccia fredda: “io mi candido a Presidente e presento una mia lista; il PD, tutto o in parte, se vuole mi segue, altrimenti faccia come meglio crede, appoggi un altro”. Poi si riuscì a mediare e sappiamo tutti come finirono le cose. Ma perché questo excursus?

rocco_colangelo

rocco_colangelo

Perché sembrerebbe che il Partito Democratico lucano al suo interno, da quel mese di ottobre del 2018, il candidato Presidente non lo abbia ancora trovato, a fronte di un Marcello Pittella che sin da allora continua a tirar dritto (dopo che già una volta ha scontato l’aver ceduto), e anche le sue reticenze del momento all’alleanza sembrano motivate più dai risentimenti verso una parte del PD che non verso Angelo Chiorazzo, la cui candidatura, a leggere i fatti partendo da lontano, non spunta certo come spunta la luna a Marechiaro, ma – anche questa – proprio dalla incapacità del PD di proporre un progetto sostenibile e condiviso all’interno prima ancora che con gli alleati; dalla incapacità di trovare le ragioni per unirsi; e anche e soprattutto, almeno all’apparenza, dalla sostanziale non volontà del centrosinistra di trovarle, le ragioni per unirsi.

Angelo Chiorazzo

Altro elemento: sembrerebbe che le diatribe interne al Partito Democratico (Chiorazzo sì, Chiorazzo no) stiano nuocendo non poco al processo politico di contrasto al centrodestra con conseguenti previsioni di sconfitta alle prossime regionali. Sorge così una domanda: un PD unito insieme ad altre forze, può fare a meno di Marcello Pittella laddove non si trovi una intesa con lui o no? Sembrerebbe di sì. Forse. Probabile. Ma senza di lui soltanto, non senza l’intero schieramento di quelle forze che nelle dichiarazioni, nelle intenzioni, nella storia e nella fede dovrebbero essere le naturali antagoniste del centrodestra, altrimenti la sconfitta è bella e servita. Ma bisogna convincerle, queste altre forze, ad abbracciare un progetto che sia davvero unificante e condiviso e, per farlo, il progetto deve essere pensato e reso credibile. Dopo aver ascoltato i ragionamenti di chi, dall’esterno, prima ancora che parteggiare per l’una, l’altra o l’altra ancora parte è convinto che serva unità nel progetto politico da proporre agli elettori, l’impressione è che si stia creando una divaricazione tra il popolo largo di centrosinistra e del laicato cattolico. Non ci sono più partiti, ma loro simulacri che hanno sacerdoti litigiosi tra loro, inadatti e anacronistici per poter celebrare funzioni religiose che non siano sacrificali. L’entrata nell’agone del momento di dirigenti di qualche ciclo fa che assumono posizioni di direzione politica entrando anche in dialettiche correntizie non aiutano ma aggravano ancor più quando suggeriscono metodi politici datati e anche forse personalistici mentre la Basilicata si svuota e si priva di alcune generazioni essenziali per non perire. Quelle avanzate sino ad oggi da tutti, nessuno escluso, non sembrano essere proposte per unire, ma opzioni di distruzione di intesa (vale a dire: scegliamo di che morte amma murì, ma amma murì!) e scuse per non aggregarsi. Si lavora per progetti di autolesionismo fatti di lasciti testamentari al centrodestra nati da invidie e presunzioni diverse, con conseguente poca voglia di affidarsi al nuovo che potenzialmente consentirebbe invece di lasciare in eredità ai lucani tutti ben altre potenzialità per la crescita della regione e il benessere delle generazioni che verranno.

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