Dall’antica Roma alla fine del XIII sec. il cibo più consumato dalle classi meno agiate era il formaggio. I nobili non lo amavano molto anche perchè l’allora scienza medica ne consigliava un uso moderato.
Con il proliferare di monasteri, nel medioevo, inizia la riabilitazione del formaggio, prodotto e consumato dai monaci nei giorni “di magro” prescritti dal calendario liturgico. Diventa cibo nei periodi di penitenza, quando ci si astiene dalla carne, anche perché stagionato si conserva a lungo e quindi buono da consumare nei vari periodi dell’anno. Mentre i frutti degli alberi, come le pere, vengono considerati un cibo effimero, si conservano poco a causa della loro delicatezza, non placano i morsi della fame, dai contadini sono considerati poveri di gusto. Cosi coltivare alberi da frutto diventa una cosa da signori, che eleva socialmente, di prestigio e le pere diventano doni preziosi che i nobili si scambiano. Il prof. Massimo Montanari, docente di storia medievale presso l’Università di Bologna, racconta nel suo ultimo libro –Il formaggio con le pere, la storia di un proverbio – Laterza editore che “ molti dei cibi che il contadino è chiamato a produrre sono solo ad appannaggio dei potenti signori, cioè lui non può mangiarli! Il ruolo essenziale svolto dal primo nella mensa dei pastori e dei contadini e quello prestigioso e di lusso che i frutti delicati e deperibili assumevano nell’alimentazione dei signori; la difficile ascesa sociale del primo e la funzione salutistica assolta dall’accostamento dei due cibi consumati alla fine del pasto. Per un lungo periodo il formaggio è stato emblema degli umili, per i quali rappresentava la fonte primaria di nutrizione, ed ha svolto una funzione di puro abbellimento nelle mense dei “guardare ma non toccare”, in parole povere la frutta è un prodotto della nobiltà “. Potrebbe sembrare quasi assurdo che un frutto, coltivato dal contadino, si rivolti contro chi lo ha amorevolmente cresciuto, ma il frutto non appaga la fame, mentre il formaggio nutre e riempie la pancia. Il nobile non ha l’esigenza di saziarsi, cerca abbinamenti che stimoli il piacere, che dia sensazioni nuove al gusto.
Scopre l’accostamento tra la pera e il formaggio che con la sua succosità, sottolinea la morbidezza e il sapore pungente del formaggio e di come il formaggio esalti le note appena aspre e profumate del frutto. Il matrimonio culinario è subito suggellato, influenzando la cultura degli accostamenti dolce salato, morbido e piccante. E’ nel 1500 che si ha una vera e propria infatuazione per le pere che vengono paragonate, anche per le sue fattezze anatomiche, al corpo di una gentildonna. E’ proprio in questo periodo che si consuma il conflitto sociale tra ricchi e poveri, signori e contadini. Da qui nasce il proverbio “al contadino non far sapere quanto buono è il formaggio con le pere”. Non gli si vuol far sapere quello che non deve conoscere. A questo punto si può meglio intuire come nasce l’abbinamento audace tra i due cibi.
… ed ora la ricetta
Pesce spada marinato su pere, con scaglie di caciocavallo podolico e menta
Ingredienti per 4 persone:
8 fette sottili di pesce spada,
1 limone
50 cc di aceto buono
70 cc di vino sbianco secco
10 gr di zucchero di canna
8 bacche di ginepro
Sale q.
scaglie di caciocavallo podolico a piacere
un mazzetto di menta fresca
4 pere abate
2 cucchiai di olio extravergine di oliva ogliarola
Procedimento:
Lavare le fette di pesce spada, togliere eventuali rimasugli di ossicini e pinne e adagiarle in una pirofila alta.
Cospargere di zucchero di canna e sale il pesce, aggiungere vino, aceto, mezzo limone a fette e le bacche di ginepro. Lasciare marinare per 15 minuti.
Sbucciare le pere, e tagliarle a metà, togliere i semini all’interno, ed inciderla a ventaglio sul piatto sistemando sopra il pesce spada marinato.
Unire le scaglie di caciocavallo podolico e condire menta tritata finemente, il succo del mezzo limone e a filo l’olio extravergine.