Dai film dei fratelli Lumière fino ad alcuni recenti e raffinati lungometraggi, cinema e cibo viaggiano a braccetto esaltando la cultura della tavola e i piaceri del palato. Un inno di celluloide dedicato alla memoria della civiltà, alla soddisfazione dei bisogni e alla conservazione dei riti della cucina e del convivio culinario. 
di Giuseppe Colangelo 

Carne secca o arrostita, pesce e cosciotti di pollo, fagioli con le cotiche, spaghetti, pizza, pane, formaggio, salame e hamburger, vino, birra e champagne, aragoste e delicati soufflé, drink di vario tipo, frutta di ogni latitudine e finanche carne umana, imbandiscono la grande tavola della settima arte.

"La febbre dell'oro" - Charlot e il suo pasto

“La febbre dell’oro” – Charlot e il suo pasto

Un cinema che a volte,

grazie alla sua originalità o lateralità rispetto agli schemi antropofagi dello star system, soddisfa in pieno l’inalienabile piacere del mangiare senza trascurare le esigenze della mente. Creatività e arte gastronomica s’intrecciano di continuo sullo schermo dando vita a messe in scena indimenticabili: da Charlot che arrotola e mangia, come fossero spaghetti, i lacci delle scarpe in La febbre dell’oro (1925) di Charlie Chaplin alla sbafata di pasta di Alberto Sordi in Un americano a Roma (1954) di Steno. Dai piccioni viaggiatori finiti in padella di Pranzo di Pasqua (1962) di Melville Shavelson alla celebrazione del vino in Il segreto di Santa Vittoria (1969) di Stanley Kramer. Dalla passione per la tavola di Maigret e Nero Wolfe alla fame congenita di Totò, fino alla simbolica nutella di Bianca (1984) di Nanni Moretti e ai piatti a base di organi umani prediletti da Hannibal Lecter .

In questo caleidoscopio di raffinatezze culinarie e di rozze abbuffate, di pietanze afrodisiache e menù letali, spiccano drammi e commedie imperdibili.

La grande abbuffata

La grande abbuffata

Come non ricordare La grande abbuffata (1973) di Marco Ferreri in cui Mastroianni, Tognazzi, Piccoli e Noiret finiscono suicidi dopo una sfrenata maratona sessual-culinaria? O dell’altrettanto estrema e affascinante riflessione sui temi di cibo, sesso e violenza, propinata da Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989) di Peter Greenaway? Non da meno L’anatra all’arancia (1975) di Luciano Salce, ancora con Tognazzi, il quale riconquista la moglie (Monica Vitti) ingolosendola con il piatto che aveva estasiato il loro felice viaggio di nozze. Al pari del bizzarro Pranzo Reale (1984) girato da Malcom Mowbray e Lunga vita alla signora! (1987) di Ermanno Olmi, in cui si racconta di un’apprendista cameriere alle prese con un pranzo in onore di un’anziana benestante, a tal punto indifferente da non assaggiare nemmeno una portata del raffinato menù. Piacere che non si negano invece gli abitanti del villaggio scandinavo in cui si rifugia la protagonista (Stéphane Audran) di Il pranzo di Babette (1987), di Gabriel Axel e tratto da un racconto di Karen Blixen. Qui l’abile chef parigina per superare le diffidenze che la circondano prepara un pranzo paradisiaco per tutta la comunità.

Totò in Miseria e nobiltà

Totò in Miseria e nobiltà

Poi con Alfonso Arau l’occhio della macchina da presa si posta in Messico. Il plot di Come l’acqua per il cioccolato (1992), ispirato dal romanzo di Laura Esquivel, ruota attorno a una ragazza relegata al nubilato che però riesce a esprimere i propri sentimenti per uno spasimante preparandogli prelibate ghiottonerie. Cosa che fa anche lo chef più rinomato di Taipei in Mangiare bere uomo donna (1994) di Ang Lee, il quale ha l’abitudine di preparare tutte le domeniche una cena per ritrovarsi con le figlie. Intorno alla tavola, in realtà si consuma un rito che nasconde frustrazioni e desideri inespressi.

Da segnalare inoltre il surreale Delicatessen (1991) di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro, Big Night (1996) di Stanley Tucci e Campbell Scott e Soul Kitchen(2009) di Fatih Akin. I biografici Vatel (2000) di Roland Joffé, con Depardieu nei panni del famoso cuoco francese, Julie & Julia(2009) scritto e diretto da Nora Ephron e Mangia prega ama (2010) di Ryan Murphy, in cui la Roberts ripropone il viaggio fisico e interiore di Elizabeth Gilbert. Simpatico ma non originale infine Amore, cucina e curry (2014) di Lasse Hallström, con la brava Mirren nel ruolo di un’affermata chef transalpina preoccupata che la vicinanza di un piccolo bistrot indiano danneggi gli affari del suo ristorante.

Big Night

Big Night

Ma quanta verità è inscritta, per esempio, nel fotogramma del misero frigorifero di Matrimonio all’italiana (1964) di Vittorio De Sica, in cui è conservato solo un barattolo di pelati, e quanta storia del costume sociale si legge confrontandolo con lo stracolmo medesimo elettrodomestico di cui dispongono i protagonisti di Il grande freddo (1983) di Lawrence Kasdan? Se il cibo, e l’evoluzione gastronomica che ne deriva, sono frutto della metabolizzazione dell’esperienza del passato, al cinema culinario va l’indubbio merito di contribuire alla conservazione della memoria della civiltà e alla celebrazione dei riti, dei bisogni e dei piaceri della tavola.