Nel giorno del suo compleanno, l’omaggio di Angelomà al “molleggiato attore” che a breve tornerà sul piccolo schermo con una serie di cartoon da lui stesso ideata e scritta con i disegni di Milo Manara.
di Giuseppe Colangelo
Dopo anni di annunci e smentite approda finalmente in televisione l’attesa serie animata ispirata ad Adriano Celentano.
A dare corpo sul piccolo schermo al celebre ‘Molleggiato’ in versione cartoon sono gli splendidi disegni eseguiti dall’inimitabile Milo Manara che a partire da lunedì 8 gennaio tutti potranno ammirare sul Canale 5. Un progetto fortemente voluto dal poliedrico cantante italiano, considerato fino a qualche mese fa una di quelle imprese che per tanti aveva assunto le connotazioni dell’operazione che non sarebbe mai andata in porto. E invece, Adrian, questo non a caso il titolo della serie a cartoni animati, giunge finalmente al nastro di partenza.
Opera che si aggrega alle tante attività professionali che Celentano ha saputo portare avanti con grande successo al di fuori dall’ambito canoro, in primis quella cinematografica. Con la produzione di questo autobiografico film d’animazione l’artista aggiunge l’ennesimo tassello al puzzle della sua corposa avventura di cineasta a tutto tondo. Ma come nasce e si sviluppa la traiettoria di celluloide di Adriano Celentano? Anche questa è un impresa tutta da raccontare. Sornione, frenetico, eccentrico nel suo giubbotto con teste di tigri, un giovanissimo Adriano Celentano si esibisce con la balalaika sotto lo sguardo sorridente di Mina, intenta a ballargli intorno. È una delle prime folgoranti apparizioni del ragazzo della via Gluck sul grande schermo. Una memorabile performance che lo vede cantare, alludendo a Kruscev, il divertente brano “Nikita Rock” in Urlatori alla sbarra (1960) di Lucio Fulci.
Sono gli anni del boom economico e delle prime vacanze al mare degli italiani, dei giovani in libera uscita e dei juke-box agli angoli di qualsiasi bar. Il cinema e la musica, complice il diffondersi della televisione, dettano gli stili di vita. In questo clima di fervore Celentano conquista la scena non solo del mondo della canzone ma, grazie a uno spiccato eclettismo, anche quella della settima arte. Se credete, però, la sua parabola cinematografica sia riducibile alle comparsate in cui fa il verso a Elvis Presley e Jerry Lewis o alle sole interpretazioni di Serafino (1968) di Pietro Germi e di Bianco, rosso e…(1972) di Alberto Lattuada, vi sbagliate in pieno. Il percorso di celluloide compiuto dal molleggiato nella storia degli ultimi cinquant’anni ci dice molto, molto di più. Non stupisca, dunque, se alla luce dei fatti risulti un cineasta completo, capace di entrare nella parte e di assumere i toni della maschera popolare, quella di attore impegnato, produttore, regista visionario, sceneggiatore, compositore e montatore di alcuni film.
Ma come nasce il suo rapporto con il mondo del cinema? Tutto ha inizio nel lontano 1956, quando compare, nel piccolo ruolo di se stesso, nel cast internazionale di Don’t Knock the Rock, in Italia noto come I frenetici, diretto dall’americano Fred F. Sears. Uno dei primi registi a introdurre con efficacia il rock in pellicola, già autore di Senza tregua il rock’n’roll (1956), in cui spiccano star musicali del calibro di Bill Haley e dei Platters. Una fugace presenza a prima vista insignificante in grado però di aprirgli le porte di questo universo dorato. Al punto che nel 1960 Federico Fellini lo sceglie per affidargli il ruolo di se medesimo nella scena girata all’interno del «Caracalla’s». Il locale notturno frequentato da personaggi famosi e stravaganti stranieri in cui Marcello (Mastroianni) accompagna Sylvia (Anita Ekberg) nel capolavoro La dolce vita.
L’ambientazione kitsch dal vago sapore antico romano in contrasto con l’eleganza di alcuni degli annoiati protagonisti, vede invece a suo agio Celentano, invitato a gran voce dai clienti a cantare uno dei suoi brani. Adriano non solo non si tira indietro, ma addirittura riesce a rubare la scena ai famosi attori esibendosi nello scatenato rock’n’roll con la giunonica diva da tutti desiderata. In quel tipico circo felliniano la presenza scenica del molleggiato s’incastona alla perfezione, il suo volto e la sua fisicità trovano la loro collocazione ideale, dando definitivamente il via a una lunga carriera anche in quest’ambito artistico. Infatti, di lì a poco, nella prima metà degli anni Sessanta, dopo aver interpretato alcuni divertenti lungometraggi canori italiani, composto i brani di La ragazza che sapeva troppo (1963) di Mario Bava e portato a termine le comparsate statunitensi di Balliamo insieme il twist (1961) di Greg Garrison e Dai Johnny dai! (1962) di Paul Landres, il cantante si avventura per la prima volta dietro la macchina da presa. E lo fa, assecondando l’illimitata fiducia nelle proprie capacità, nella duplice veste di regista e attore. Il compito non si presenta di facile approccio, dato che nel cast di Super rapina a Milano (1964) sono coinvolti oltre a Claudia Mori alcune personalità di spicco del suo Clan. Tuttavia, questo film dagli evidenti richiami al gangster movie americano, presenta alcuni pregi pur se, come si legge sul n° 174 di Cinema Nuovo dell’aprile 1965:“… Il Sinatra nostrano, cui non mancano certo doti organizzative, ha realizzato il suo I 4 di Chicago (1964) di Gordon Douglas […] in un clima -peraltro- da Soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. La storiella è divertente e misurata, e c’è molta buona volontà: ma siamo ancora lontani dall’ affermazione di una personalità completa. Celentano, comunque, potrebbe riprovarci”. E la rock star ci riprova eccome. Circa dieci anni dopo porta sullo schermo il controverso Yuppi Du (1975), ricoprendo i ruoli di produttore, regista e protagonista, oltre a scriverne la sceneggiatura, la musica e a seguirne il montaggio. Parabola surreale illuminata dalla bellissima Charlotte Rampling, rivale dell’altrettanto avvenente Claudia Mori, in una sorta di musical-drama incentrato sulla violenza e le contraddizioni della società contemporanea. Film ad alto budget reclamizzato con largo anticipo sull’uscita, le cui strategie comunicative riflettono l’impareggiabile estro del molleggiato.
Fra tutte il lancio di volantini recanti soltanto l’enigmatico titolo del film, piovuti sulla folla da un aeroplanino durante le partite di calcio a San Siro. Il lungometraggio fa registrare all’epoca un grande successo di pubblico, tanto da piazzarsi in testa agli incassi di quella stagione e aggiudicandosi nel 1976 il Nastro d’Argento per la miglior musica. Nel 2008, inoltre, la versione restaurata è stata presentata ufficialmente alla Mostra del Cinema di Venezia. Altrettanto contraddittori, e ferocemente demoliti dalla critica, i successivi Geppo il folle (1978)e Joan Lui – Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì (1985). Anche in queste opere, il poliedrico artista non si fa mancare proprio nulla, ricoprendo tutti gli ambiti chiave della produzione. Accusato di megalomania e di delirio predicatorio farcito di luoghi comuni, Celentano con Geppo stabilisce comunque un primato. Nel scene di massa girate allo stadio le comparse, caso unico nella storia del cinema, arrivano a pagare finanche il biglietto pur di apparire nell’opera del loro idolo. Tuttavia, la lunga carriera cinematografica lo vede protagonista per lo più nei panni di attore. Ruolo svolto principalmente sotto la direzione di Sergio Corbucci, Castellano e Pipolo, Lucio Fulci e Pasquale Festa Campanile.
Una quarantina di interpretazioni nelle quali, in veste di rock star o di contadino, seduttore o prelato, a dispetto di molte critiche impietose, è riuscito a mettere tutto se stesso. E la testimonianza più sincera che a qualcuno i suoi eccessi sperimentali e la sua megalomania non siano dispiaciuti affatto, viene dal primo film del geniale Emir Kusturica, Ti ricordi di Dolly Bell? (1981), dove il brano “24000 baci” è eseguito diverse volte dal complessino di Dino (Slavko Štimac). Quanta verità e storia del costume sociale italiano è però inscritta nei fotogrammi delle sue pellicole? Non solo una serie di titoli che hanno per soggetto i cantanti, il mondo discografico e i fan, ma anche un numero incalcolabile di gesti, simboli e comportamenti. Un universo composito in cui, l’istrionico Celentano, di volta in volta, si converte in icona dei gusti e dei bisogni dell’uomo del nostro tempo.