di giornalemio.it
Mancava…Un ristorante nei rioni Sassi con i colori e i sapori di mezzo mondo e che esaltano la cucina di un terra millenaria di immigrazione e di emigrazione, purtroppo, come la Basilicata.
Ma ora siamo alla concretezza e alla fattibilità grazie a ”Panecotto”, nel Sasso Caveoso, e alla lungimiranza di un progetto Sprar -attivato a Matera e a Grottole- dalla cooperativa il Sicomoro con richiedenti asilo e rifugiati di Costa D’Avorio, Siria, Nigeria, Guinea, Ghana , Afghanistan . E alla esperta regia di un simpatico allievo con tanta voglia di imparare dopo 38 anni di attività, come il cuoco (ci piace di più il termine tricolore)lucano Federico Valicenti, che ha integrato i suoi saperi, intuizioni e manualità con quelle dei migranti Karim, Zaher, Blessing, Kante, Alì, Rohullah. E così è nato il Menù dei colori dai nomi esotici e intriganti.uovo sbagliato con banane alla ghanese, un ritorno alla Rabatana e ripieno afghano, in fusi di pollo, il riso africano al contrario, la’ pettola arbereshe col falafel arabo, il piccillato nigeriano, u’ pastizze Halal e il Dolcenero della Bruna.un mantecato di frolla nera con ricotta, semi di sesamo miele. Scava scava, come abbiamo appreso dai racconti di Federico e di cuochi che la cucina l’hanno imparata a casa, sul campo, prima di abbandonare forzatamente le proprie radici, e gli intrecci con quella lucana sono venuti tutti nel piatto. E che piatti. che abbiamo accompagnato con tocchetti di pane e olio extravergine di oliva e vino aglianico baricato delle tenute Mantegna di Irsina (Matera). Descrivere ogni piatto sarebbe riduttivo, ma alcuni ”assaggi” descrittivi sono venuti proprio dai protagonisti e intorno all’uovo ”simbolo del cosmo’ si è costruita tutta una scala di saperi. E gustarli sarà tutta un’altra cosa. Resta la scala degli ingredienti legate alla presenza di dominazione straniere come quelle arabe nelle Rabatane di Tursi e Tricarico, con quello che rappresenta l’arancia staccia utilizzata in insalate e primi piatti con mollica fritta,l’uva sultanina, l’uovo simbolo di vita e pienezza, gli impasti su pietra,i pasticci di carne e verdure, le minestre e gli impasti di ceci, la carne di pollo e altro ancora cone le presenze albanesi e gli accostamenti tra ”petullavet” e ”fellafel”. Certo è che Federico, ambasciatore della cucina lucana nel mondo, e tra i pochi a poter cambiare con tenacia e fantasia, è un vulcano di idee ed è ormai in odore…di Santità. E ci ha parlato di Gesù come il più grande cuoco della storia, per i riferimenti continui alla cucina. A Natale verrà fuori il libro ” Dalla Tavola al Paradiso” che parlerà di cibo e di Santi. L’accenno all’Ascensione con un piatto come i ”tagliolini” bolliti nel latte apre a una descrizione che stimola e sazia il corpo e la mente per dirla come Teofilo Folengo, un frate-scrittore e gastronomo del Quattrocento inventore del latino maccheronico all’insegna del ”Pans sana in corpore sano”. Disquisizione goliardica,a parte,ma l’accostamento tra cibo e Santi ci sta tutto come la storia di San Cataldo, patrono di Taranto, che con il lancio dell’anello in mare acquetò pestillenze e gorghi, aprendo la via alla coltivazione dei mitili e alle infornate di ”ciambelle” che portano il suo nome. E che dire, da noi,con capitone e baccalà dell’Immacolata o dei ”biscottini” di San Biagio,protettore della gola, impastati senza sale che servono a rimuovere anche le lische di pesce. Sono i tanti ”fattariell” come li ha chiamati Federico, che un tempo si raccontavano intorno al camino, e che oggi per la moda degli anglicismi a tutti i costi si chiamano storytelling, Ma resta valido il metodo del racconto e della ricerca anche quando si parla di mela blu o blu di mela.. Contano i fatti e le buone pratiche, con le opportunità venute anche dal progetto Silent Accademy che il Sicomoro con la ”Fondazione -Matera Basilicata 2019′- del quale abbiamo parlato in altri contesti. Una risposta al decreto Salvini, come ha detto Michele Plati, presidente e alla necessità di guardarsi negli occhi, passando dalla cucina all’artigianato della cartapesta e alla necessità come ha ricordato mons Pino Caiazzo di condivedere, di non mettersi l’uno contro l’altro ma di lavorare insieme. Giuste considerazioni e inviti che finora hanno trovato poco ascolto, per una serie di errori del passato. Se il BelPaese avesse lavorato con serietà e investito in progetti concreti di integrazione come gli Sprar, anzicchè alimentare con inchieste come Roma Capitale tra opportunismi, assistenzialismi e paternalismi spinte sovraniste nel filone a volte irrazionali di paure e di scarsa conoscenza della storia sui flussi di immigrazione, a quest’ora lo Stivale e regioni povere – e a forte indice di invecchiamento e di emigrazione giovanile- avrebbero fatto un passo in più verso la crescità e l’integrazione. E una prova concreta l’abbiamo verificata a tavola, a Matera, al Pancotto del Sasso Caveoso, dove le “buone pratiche” di parole come territorio, filiera,inclusione,diversità sono una risorsa. E per valorizzarle occorre avere fame di cultura come ha detto Federico Valicenti…guardando al passato per capire il presente e non aver paura del futuro.