di Lorenzo Berna
Nel cuore d’Italia, là dove i placidi colli dell’Umbria occidentale s’incuneano fra il Lago Trasimeno e la Toscana ad incorniciare il versante umbro della Val di Chiana, un borgo dalla storia ultramillenaria svetta col suo splendore di perla d’arte, di cultura, di tradizioni popolari e di eccellente enogastronomia.
È Città della Pieve, la quale, coi suoi edifici di color rosso mattone, risplende come un rubino fra la verde e florida campagna circostante.
Un luogo definito dallo storico dell’arte francese Jacques Camille Broussolle, nel proprio saggio “Pélerinages Ombriens. Études d’art et de voyage” (1896), «La città più meravigliosa dell’Umbria».
Centro medievale dal profondo fascino, insignita della “Bandiera Arancione” dal Touring Club Italiano ed anche “Città Slow”, Città della Pieve ammalia il visitatore al suo arrivo e lo riempie di nostalgia dopo la sua partenza.
Borgo natio del “Perugino”, antico dominio del celebre Ascanio della Corgna, capitale italiana dello zafferano, teatro di un vivo folklore coltivato dalla propria gente raccolta nei suoi Terzieri, Città della Pieve si giova di una posizione di crocevia fra l’Umbria, la Toscana e il non distante Lazio, circostanza che la rende anche base ideale per scoprire uno degli angoli d’Italia dal maggiore interesse turistico.
Eloquente è il pensiero espresso nella menzione di conferimento del “Premio Pio Alferano” 2003 da Vittorio Sgarbi: «Città della Pieve è una città perfetta, vive la condizione ideale di essere isolata e vicina. Al centro dell’arte con i capolavori di Perugino, ma senza l’ansia di un turismo frenetico. Nelle stanze riparate delle belle case, delle ville, degli alberghi, delle osterie e dei ristoranti, di giorno e di notte, un’euforia lieve anima gli spiriti e agita i corpi. Si arriva e si vorrebbe restare, senza che lo spirito guida, tra scrittore straniero e genius loci, abbia occupato per te lo spazio di un pensiero libero e di una memoria incondivisa.
Città della Pieve non è per tutti, è di ognuno. Fuori del mondo, ma non provincia, rifugio di anime elette e tormentate, oasi protetta per uomini di malinconia attiva».
I Terzieri
Nel medioevo Castel della Pieve era divisa in tre Terzieri, Casalino, Castello e Borgo Dentro i quali, ancora oggi, sono una realtà viva che anima la città durante l’interno corso dell’anno.
Nel 1250 i Terzieri, che erano organizzazioni private con mansioni di natura amministrativa delle diverse parti della città, si trovano nominati per la prima volta nell’atto di sottomissione a Perugia quando, dopo un brevissimo intervallo di autonomia e libertà dovuto alla protezione dell’imperatore Federico II di Svevia, l’antica Castel del Pieve tornava nuovamente sotto il controllo della città del Grifo.
L’impianto urbanistico definitivo di Città della Pieve, giunto all’incirca immutato fino ai giorni nostri, risale proprio a quell’epoca.
Il Terziere Castello e San Rocco
La storia del Terziere Castello, come quella dei Terzieri rivali, è indissolubilmente legata con quella della parrocchia di riferimento che, per il Terziere Castello è quella intitolata ai Santi Pietro e Paolo. Le antiche radici hanno, nel tempo moderno, ricevuto nuova linfa attraverso la Fiera di San Rocco, patrono del Terziere i cui colori distintivi sono il verde ed il nero.
All’inizio si trattava di una celebrazione animata da rivalità interna, in cui le diverse zone della parrocchia gareggiavano nella realizzazione di addobbi destinati ad accogliere la processione del Santo, poi, nel tempo essa ha preso la forma che attualmente ha nella cornice del Palio dei Terzieri. La festa affonda le sue origini nel lontano 1462, quando a Castel della Pieve, per combattere la terribile epidemia di peste, i cittadini fecero voto ai Santi Rocco e Sebastiano. La storia, o forse la leggenda, racconta che la peste si placò e le manifestazioni di devozione divennero la norma.§
La Taverna del Castello, cuore della vita sociale dei contradaioli, è situata nei sotterranei e nel giardino di Palazzo della Corgna e lì i castellani si ritrovano tutto l’anno. Durante il periodo del Palio la Taverna dà ristoro anche ai forestieri di passaggio con cibi e bevande, in un’atmosfera dal sapore d’altri tempi.
La Fiera di San Rocco
San Rocco è il patrono del Terziere che lo celebra con particolare trasporto e magnificenza, dedicandogli tre giorni di festeggiamenti a cavallo di Ferragosto.
Con la Fiera di San Rocco, rievocazione della vita del borgo ai tempi del Rinascimento. Fedele ricostruzione della Fiera che, sin dal lontano 1503, cominciò ad affiancare il rito religioso in onore del santo. Mercanti, artigiani, acrobati, giocolieri, sputafuoco, veggenti, ciarlatani animano i vicoli e le piazze del Terziere in viaggio a ritroso nel tempo dentro atmosfere magiche e coinvolgenti.
I festeggiamenti si chiudono il 16 Agosto, giorno dedicato al Santo, con la celebrazione della Santa Messa e Processione e con la Festa a Palazzo, affascinante composizione di spettacoli di piazza offerti dal Magnifico Priore agli abitanti del Terziere e della Città e ai forestieri ospiti.
Il Palio dei Terzieri
I festeggiamenti in onore di San Rocco si svolgono all’interno di una più ampia manifestazione che, a cavallo di Ferragosto, si svolge a Città della Pieve e si con conclude la penultima Domenica del mese sii Agosto, quando i Terzieri danno vita ad un grande corteo fitto di personaggi, vessilliferi, armati, notabili, dame e cavalieri, popolani e mangiafuoco percorre le vie principali del centro facendo sfoggio di costumi magnifici.
La caccia del toro è una gara di abilità al tiro dell’arco e rievoca, in forma incruenta, le antiche “cacce” senesi, una sorta di corride che ancora ai tempi del Perugino si svolgevano nella vicina città ghibellina, della quale Castel della Pieve, per secoli ribelle a Perugia ed allo Stato della Chiesa, era amica.
La moderna gara vede impegnati tre campioni per ciascun Terziere i quali hanno a disposizione tre frecce ciascuno da scagliare a turno con la giostra che aumenta progressivamente di velocità cogliere il bersaglio diventa sempre più difficile.
Gli scatti di Luca Tavera, Alessandro Nardin e Tommaso Regni nella gallery fotografica da sfogliare
Pellegrini assetati d’amore…….. sulle orme di San Rocco .
Cari amici e devoti ,
i santi sono un invito, un appello, uno stimolo a metterci anche noi alla sequela di Cristo. Tutta la loro vita ha questa finalità: suscitare nel popolo di Dio il desiderio di una maggiore adesione a Cristo, facendo scoprire la bellezza del Vangelo. I santi sono modelli concreti e testimonianza visibile che il cammino di fede può essere realizzato in pienezza da tutti. In questo giorno di festa, riflettiamo sull’esempio offertoci da san Rocco. Egli ha modellato la sua esistenza su Cristo, sul cui volto risplende il volto misterioso del Padre.
La fede cristiana è un cammino di rinnovamento, di trasformazione e di trasfigurazione della vita secondo l’immagine e il modello di Gesù. Festeggiare i santi vuol dire riconoscere che essi sono un segnale che indica una direzione e un orientamento verso Cristo. Ciò è molto evidente in tutte le Chiesa: la statua di san Rocco o i dipinti sono collocati sopra l’altare, ma al di sopra di essa vi è il crocifisso. Il messaggio è evidente: guardare san Rocco, vuol dire innalzare lo sguardo più in alto verso Cristo, il modello che ha ispirato e orientato la sua vita. San Rocco sembra ripetere le parole dell’apostolo Paolo: imitate me, perché io sono imitatore di Cristo.
Conoscete tutti la vita di san Rocco. A circa vent’anni di età, perse entrambi i genitori e decise di seguire Cristo. Vendette tutti i suoi beni, si consacrò nel terz’ordine francescano e, indossato l’abito del pellegrino, fece voto di recarsi a Roma per pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Tracciando il segno di croce sui malati, invocando la Trinità di Dio per la guarigione degli appestati, San Rocco diventò strumento di Dio per operare miracolose guarigioni. Anch’egli fu colpito dalla peste. Si allontanò, dunque, dalla città, rifugiandosi in un bosco, in una capanna nei pressi del fiume Trebbia. Qui, un cane lo trovò e lo salvò dalla morte, portandogli ogni giorno un tozzo di pane. Per questo insieme a un cagnolino e a una fiaschetta nella quale conservava l’unguento con il quale curava gli ammalati, i segni che lo contraddistinguono nella iconografia sono il bastone del pellegrino, il mantello, il cappello, la borraccia e la conchiglia.
San Rocco ci insegna soprattutto due cose. Innanzitutto, la necessità di metterci in cammino alla ricerca di Dio. Fin dall’inizio della storia della salvezza, rivolgendosi ad Abramo, Dio lo invita a mettersi in cammino. Abramo ubbidisce e inizia un cammino difficile, faticoso che dura tutta la vita. Attraverso questo pellegrinaggio egli diventa padre di una moltitudine di figli che in lui riconoscono il loro modello di fede. Anche Gesù invita i suoi discepoli ad andare in tutti i villaggi a predicate il Vangelo del regno. I discepoli, dopo la sua risurrezione, si mettono in cammino sulle strade del mondo per annunciare il Vangelo a tutte le genti.
La storia della salvezza, cari amici e fratelli , è la storia di pellegrini che lasciano ogni cosa, case, progetti, aspirazioni e vivono per annunciare la Parola di Dio dandone prova con la loro testimonianza di vita. Così ha fatto san Rocco: pellegrino dalla Francia fino a Roma si è fermato di volta in volta nelle località che egli attraversava per dare a tutti il conforto di fede. Come tutti i grandi personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento, egli è stato un pellegrino della fede, una persona che ha cercato continuamente di incontrare il mistero di Dio.
Siamo tutti pellegrini della fede; uomini e donne chiamati dal Signore a metterci sulla strada di Gesù per seguire le sue orme e imitare la sua vita.
E noi che ci pregiamo di chiamarci “Amici di San Rocco ” dobbiamo essere pellegrini felici con il cuore e gli occhi rivolti verso il cielo .
La fede è un cammino da vivere, orientando l’esistenza verso il mistero di Gesù. La vita quotidiana indica il nostro concreto cammino di santità: essere genitori, marito, moglie, padre, madre; avere una professione, un lavoro, una relazione con gli altri, dando sempre il primato a Dio; il primato della pietà, della meditazione della parola di Dio, della comunicazione della nostra esperienza spirituale. San Rocco ha percorso le contrade d’Italia e ha continuamente spronato, sollecitato e annunciato a tutti la misericordia di Dio, insegnando a tutti a vivere secondo il vangelo di Gesù.
Cari amici di San Rocco , anche noi dobbiamo incamminarci sulla via di Cristo e parlare di lui alle nuove generazioni. Una volta, la trasmissione della fede avveniva in famiglia. Erano le mamme, le zie, le nonne a insegnare ai piccoli il segno della croce, a pregare insieme a loro la sera e al mattino. Ora i ragazzi vivono senza orientamento. E tutto avviene senza senso. Senza Dio tutto è permesso. Qualsiasi forma di male. San Rocco ci invita a ritrovare in Dio per vivere nella pace e nella vera gioia .
Il secondo insegnamento riguarda la carità verso il prossimo. Occorre essere assetati d’amore. Per questo dovremmo fare nostra la preghiera di san Colombano: «Ti prego, o Gesù nostro, d’ispirare i nostri cuori col soffio del tuo Spirito e di trafiggere col tuo amore le nostre anime perché ciascuno di noi possa dire con tutta verità: Fammi conoscere colui che l’anima mia ama (cfr. Ct l,6 volg.); sono infatti ferito dal tuo amore. Desidero che quelle ferite siano impresse in me, o Signore. Beata l’anima trafitta dalla carità! Essa cercherà la sorgente, ne berrà. Bevendone, ne avrà sempre sete. Dissetandosi, bramerà con ardore colui di cui ha sempre sete, pur bevendone continuamente. In questo modo per l’anima l’amore è sete che cerca con brama, è ferita che risana».
San Rocco è stato un pellegrino assetato d’amore. Si è fatto povero con i poveri e ammalato con gli ammalati. Ha amato tutti “fino alla fine”. Per questo il riferimento alla sua persona non può ridursi a una semplice pratica devozionale. Non basta lasciare un’offerta alla Chiesa se manca l’accoglienza del fratello che si trova in una situazione di indigenza. Rifiutare il povero vuol dire rifiutare Cristo. Occorre ascoltare l’esortazione di san Giovanni Crisostomo che invita ad adornare il tempio, ma anche a non trascurare il fratello. Tu – egli scrive – rifiuti di accogliere Cristo presente nei poveri, «e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell`edificio sacro. Attacchi catene d`argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l`ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello».
Seguiamo dunque, cari Amici , l’esempio di san Rocco, mettendoci in cammino alla ricerca di Dio e amando i nostri fratelli con cuore sincero e generoso.
Vostro fratello in Cristo e San Rocco
Fratel Constantino
http://www.amicidisanrocco.it