L’invasione dei prodotti altamurani distrugge la microeconomia locale che si è sempre basata sulla qualità a scapito di costi più bassi. “Regione e Comune non tutelano i piccoli artigiani”. In tanti preferiscono uno stipendio sicuro e abbandonano terre e attività autonome
di Angelomauro Calza

Di solito a fare notizia sono le storie particolari, strane, inusuali, uniche. Invece noi vogliamo raccontarvene una che fa notizia proprio perché ce ne sono tante simili, storie vissute e che vivono in tanti cittadini delle aree interne della Basilicata. Storie di tutti i giorni, cantava Riccardo Fogli, quando invece la normalità, la quotidianità, dovrebbe Avere ben altra rappresentazione. E allora raccontiamola questa storia, quella di Nicolina Montano che per quasi 35 anni ha aiutato suo marito Giuseppe Carmelo a mandare avanti il mulino De Bona a Corleto Perticara. Anzi, ce la racconta lei in prima persona.

Nicolina Montano

Da dove iniziamo? Dal vostro mulino?

Sì. L’ultimo mulino della zona. Corleto Perticara è stato sempre un paese con parecchi mulini, era il primo dei paesi della zona, un riferimento certo dell’economia del posto e quindi la base per vivere. Noi siamo in territorio dove c’erano solo contadini, e di cosa vivevano i contadini? Di grano, di pane, di cereali.

Quindi era un grano di qualità, buono?

Sì. Grani locali, di grande qualità. Io per la mia attività compravo molto grano ad Armento, coltivato in una una valle vocata proprio a frumento, ma anche a Corleto e a Guardia Perticara ci stavano colture di grande qualità dove noi ci servivamo.

Per quanti anni?

Assai, 34

E poi?

E poi succede che i mercati cambiano. Ci sono gli aumenti, noi siamo comunque artigiani, non industriali, siamo sommersi dai prodotti altamurani, della Puglia. Non siamo più competitivi con i prezzi. Noi non possiamo vendere al prezzo che praticano loro.  Perché loro trasformano tutta roba che viene dall’estero in enormi quantità, tanto grandi da poter praticare prezzi bassissimi, che mortificano noi, il nostro lavoro e la nostra qualità che meritasno i giusti riconoscimenti anche economici.

E la qualità vostra?

Corleto Perticara

Era basata sul grano prodotto in Lucania, noi grani esteri non ne abbiamo mai usati. Qualche volta abbiamo provato a usare il canadese, andavamo a caricare al porto di Napoli, è successo un paio di volte, ma la percentuale che aggiungevamo al nostro grano era un po’ come il parmigiano sui maccheroni, giusto una spolverata. Ma poi abbiamo verificato che non ne valeva la pena e abbiamo sempre lavorato grano nostrano. Del resto la zona prima permetteva. Noi macinavamo ogni anno 14-15.000 quintali di grano.

Beh, mica roba da poco, tutto sommato. E cosa è accaduto a un certo punto?

E’ accaduto che è arrivato il petrolio e piano piano sta finendo tutto

Ma che colpe ha il petrolio?

Arrivato il petrolio la gente non ha più curato l’agricoltura o l’artigianato. Si sono riversati tutti sulle potenzialità lavorative delle attività estrattive, sull’occupazione che potevano dare, uno stipendio sicuro rispetto alle incertezze della vita rurale. Poi sai com’è? la Regione e il Comune non ti tutelano… e come vuoi fare?

Che intendi per tutele mancate?

Io intendo la Regione e il Comune non come soggetti che mi devono dare da vivere, come macchine erogatrici di assistenzialismo, ma come soggetti che ci tutelino per esempio aiutandoci nella commercializzazione dei nostri prodotti. Questo non è mai accaduto, ed ecco che si lascia invece campo libero ad altre iniziative, più forti, più solide, extraregionali, ed allora arrivano gli altamurani e qui, a Corleto, vendono la farina a 54, 55 euro al quintale e si impossessano del mercato, di quella fetta di microeconomia locale che per noi è vitale. Noi piccoli produttori non ce la facciamo a essere competitivi, perché non possiamo vendere a quel prezzo. Il grano lo paghiamo più caro, poi – ad esempio – dobbiamo comprare i sacchetti per confezionare la farina, ma anche i loro costi sono lievitati, e poiché le quantità che trattiamo sono inferiori, ovvio che i prezzi che ci fanno i fornitori sono superiori a quelli praticato alle industrie che commissionano milioni di sacchetti a fronte di qualche migliaio che utilizziamo noi. E’ una lunga catena di penalizzazioni che viviamo. Quindi tu fai di tutto per conservare la qualità, non ti pieghi alla globalizzazione, ma non riesci a fare il prezzo, e così i mulini di qualità inferiore e di fuori regione hanno mano libera.

In tutto questo il petrolio però non c’entra nulla

Certo, la colpa non la do al petrolio, ma a chi impedisce (non curandosene) ai piccoli artigiani, ai piccoli commercianti di poter sopravvivere in una regione dove chi ci governa mi sembra davvero incurante dei bisogni delle piccole realtà. Non so che regione sia. Mio marito, oltre a fare il mugnaio, il ragioniere, l’autista e lo scaricatore di porto, si metteva in macchina e faceva anche il rappresentante della nostra farina. Ma già il fatto che dicevi che eri di Corleto, che avevi un piccolo mulino che produceva farine di qualità, quindi con un costo diverso, un po’ più alto, non riuscivi ad entrare da nessuna parte, in nessun panificio.

Ma come? Roba di qualità che non viene apprezzata?

E mica si guarda alla qualità, evidentemente! Hanno solo paura del prezzo. La gente oggi non compra qualità. Quando entra in un supermercato, vuole il prezzo buono, guarda solo quello. E intanto nessuna tutela per chi invece lavora bene e con materie prime di grande qualità: non ci aiuta nessuno, piuttosto danno una mano ad aprire nuovi centri commerciali legati alla grande distribuzione che, come dicevo, per prima cosa guarda ai prezzi bassi. Ecco perché non cresceremo mai come regione

E ora che fate? Il mulino non macina?

Siamo fermi dal 30 di dicembre. Due mesi

E cosa pensate? Su cosa avete intenzione di investire?

Siamo chiusi senza alternative. Tu puoi avere tutti i prodotti buoni, ma come li rendi una risorsa? Come li commercializzi? In questa zona siamo 30.000 abitanti, ma in 50 paesi. In molti paesi del circondario non ci sono più panifici. Si chiudono attività giorno per giorno, non c’è niente, la gente va via e i ragazzi preferiscono andare fuori regione.

Ma possibile che in tanti paesi non ci sia un forno, un panificio?

Certo. Solo a Corleto ce ne sono due. Prima ce ne stavano tre, ma ti dico anche che uno di questi non ha mai comprato la farina nostra perché la vendevamo 5 centesimi in più al chilo, preferendo la farina pugliese più commerciale. Non c’è manco la solidarietà, per far muovere l’economia circolare locale. Ma questo mica accade solo qua, sia chiaro. Se tutti invece ragionassero nell’ottica del darsi una mano, io compro da te, tu da me, io e te insieme da un altro paesano, non saremmo certo ricchi, ma le cose non sarebbero in questo stato. Il “paesano”, pure poco e poco, aiuta. Io ho lavorato più sulla Campania, con grossi centri commerciali che non in Basilicata. Purtroppo è finito tutto troppo presto, ora non è più possibile, perché quando vai a vendere all’ingrosso ti stringono, ti strozzano imponendoti prezzi che tu non puoi contrastare: o accetti o non vendi. Una azienda piccola come fa a sopravvivere? E poi c’è l’indifferenza. L’indifferenza anche locale. A Corleto di recente ha chiuso un negozio di autoricambi, ma anche il bar centrale, che è quanto dire! E gli amministratori non si rendono conto? non si pongono la domanda “mò questi come campano?” Non si rendono conto che forse una qualche responsabilità la tengono pure loro? Sono tutti succubi delle multinazionali. Tutto loro devono tenere in mano. In 34 anni di attività si sono alternate tante di quelle amministrazioni che abbiamo praticamente provato tutti i partiti, ma mai uno di loro che abbia fatto un giro tra gli artigiani, per vedere come vivono, come e cosa producono, che difficoltà vivono. Niente. Nessuno. E’ triste.

Nicolina, la finiamo qua o hai altro da dire?

Voglio dire che la politica è assente. Ci ha abbandonati a noi stessi. Vengono a fare solo passerella. E’ venuta un anno fa la Casellati.  Dopo il convegno l’ho fermata, le ho espresso le mie difficoltà, le ho chiesto se sapesse, oltre ai posti del petrolio, le persone come vivono a Corleto, se fosse al corrente delle grandi difficoltà, che siamo costretti a pagare tasse e a non ricevere servizi. Le ho chiesto se fosse possibile ricevere comprensione e aiuti che non siano semplice assistenza. Tra poco manco i figli all’università possiamo mandare. Lei mi ha ascoltato, ha chiamato una sua assistente e le ha detto: “accompagna la signora da Bardi, vediamo cosa può fare” Mio marito mi ha detto: “ma che vai? dove vai? Vuoi continuare a farti prendere in giro”? Il problema non è risolvere le mie difficoltà, ma operare perché un intero territorio possa far sì che magari una storia così diventi e resti solo la mia: significherebbe che tutti gli altri non vivono problemi, e a quel punto il mio, di problema, si risolverebbe facilmente in qualche modo. Invece no: il problema è vasto, le difficoltà sono diffuse, un territorio sta morendo per incuria di chi dovrebbe aiutarci a tutelarlo, custodirlo e valorizzarlo, e così c’è poco da fare.

Nicolina, sai cosa c’è?

Dimmi

Finiamola qua, che è meglio…

 

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