di Dino Quaratino
La Basilicata, fino agli inizi degli anni 50, a causa della costante depressione socio-economica per il suo scarso grado di sviluppo, per la persistenza di una egemonia feudale-borghese, per il carente sistema viario, per i vari centri intellettuali innovativi, è stata una regione in cui più si è mantenuto inalterato il patrimonio magico – pagano ed anche ed anche cristiano – pagano.
L’avvento dello Stato Repubblicano portò alla rottura del pluricentenario isolamento, introducendo una nuova legislazione, nuovi istituti amministrativi, nuove strade , nuove modalità politiche, con l’inserimento della Basilicata nel mercato nazionale.
I fatti che certamente hanno favorito anche il formarsi dei nuovi ceti economici e di più validi scambi culturali sono da rinvenirsi nell’avvento della tecnologia, nello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa e nell’inurbamento.
Questo processo di industrializzazione ha rotto le resistenze mentali tipiche delle
comunità agrarie e la vita delle campagne ha subito l’assalto di una secolarizzazione violenta, ineguale, traumatica, che ha ridotto e modificato i vecchi comportamenti lasciando solo lo scheletro della religione popolare e della cultura tradizionale più in generale, favorendo forme nuove di omogeneizzazione di modelli di vita e di pensiero a predominio neocapitalisitico.
La città di Potenza è da tempo in crisi, parola che non dovrebbe suscitare grande turbamento quando si avverte che crisi è il processo di trasformazione ed adattamento esigenze nuove e diverse che cercano soddisfazione.
La città di Potenza vacilla sotto i colpi violenti e venefici della ipermotorizzazione. La città si è dilatata, spesso si è ingigantita. la città è cresciuta male.
L’espressione “ quartiere dormitorio” qualifica, non da oggi, una invenzione urbanistica tecnicamente e socialmente sventurata anche quando singolarmente gli edifici siano stati di per se ben concepiti e ben realizzati; quartiere dormitorio sta per “città – non città”.
Qualcosa di meglio, ma non molto, di cosiddetti quartieri operai, in voga nei decenni del grande sviluppo industriale come reincarnazione di una sorta di “ riserve indiane”.
Ora la città è alla ricerca od alla riscoperta di se stessa. Tenta di ritrovarsi, anche se spesso stenta, stretta nelle morse di alternative angoscianti, dai permessi riservati ai residenti alle isole pedonali. Nei diversi momenti e forme di questa riconquista si coglie un segno univoco prevalente, anche se non esclusivo: la ricomposizione di un sistema in cui spazi specifici – lo spazio verde ( Parco Rossellino, Parco Montereale, – Villa del Prefetto – Villa di S. Maria); lo spazio attrezzato ( il Pantano ); lo sport ( PALAPERGOLA – PALABASENTO ); la Cultura ( il Teatro F. Stabile ); il semplice spazio per passeggiare – la storica Via Pretoria magnificamente recuperata dopo il sisma dell’80 e la ripavimentazione eseguita negli ultimi anni; rivitalizzino il contatto, il colloquio, la comunicazione, la conoscenza attiva, quella che Paolo Portoghesi ha chiamato “ solidarietà comunitaria”.
Si scopre perfino che la piazza – che è forse l’emblema della città italiana e comunque ne è altissima
espressione storica ed architettonica – non è un accidente o un accessorio del sistema viario da utilizzare per parcheggio delle auto.
E’ una camera di decompressione dove la città respira, si guarda si sente abitata da una comunità.
Alexander Mitschervlichn psicologo sociale tedesco ed assertore dell’intervento della psicologia nella pianificazione della città, scriveva: “L’individuo potrà preservare la sua identità solo se sono rafforzate le possibilità di coltivare costanti rapporti con gli altri. Ciò esige la nostra natura. Nella realtà urbana che noi creiamo, non si tiene conto proprio di questa esigenza”.
Sarebbe singolare che mentre i paesi detti “ in via di sviluppo” collegano in qualche misura la propria indipendenza politica anche al recupero della propria identità culturale ( che d’altro canto) è patrimonio di tutta l’umanità), la vecchia comunità potentina, si trasformasse gradatamente e gioiosamente nel terminale di una etero – cultura, senza disporre di strumenti di colloquio e di confronto. Tutto ciò sotto
l’insegna di un processo tecnologico per il quale la ormai lunga storia politica ed economica della società industriale ha insegnato la necessità di attenti raccordi agli interessi collettivi.
La “ Parata o Sfilata”, che dir si voglia, dei Turchi deve essere interpretata come un’occasione per la collettività potentina di ritrovare la propria identità culturale e di instaurare quel contatto, quel colloquio, quella comunicazione, quella conoscenza attiva indispensabile per una città che desidera respirare, guardarsi e sentirsi abitata da una comunità.
Non c’è bisogno né di dar vita ad una ricostruzione archeologica della “Parata o Sfilata” dei Turchi né, tantomeno di inventare dal nulla qualcosa di assolutamente innovativo.
Vivaci ed appassionate sono le polemiche che ruotano attorno alla “Parata o Sfilata” dei Turchi. E queste devono
essere interpretate come momento di sprono per migliorare un “servizio” e per perseguire l’obiettivo finale di recuperare una tradizione ed una costumanza meritevole di essere tramandata ai posteri, nonché di essere scoperta dal turismo locale, nazionale e perché no, straniero.
Mancano riferimenti storici precisi per permettere di stabilirne le origini; una manifestazione popolare che si svolge la sera della vigilia dei festeggiamenti in onore di San Gerardo, Patrono della città che, nato a Piacenza dalla famiglia Della Porta, fu Vescovo della diocesi dal 1111 al 1119.
Secondo alcuni storici la “Parata o Sfilata” dei turchi è da attribuire ai festeggiamenti tenuti per ricordare l’incontro a Potenza tra Ludovico Re di Francia e Ruggiero II il
Normanno ( la versione è di Emanuele Viggiano nelle “ Memorie della città di Potenza”) secondo altri alla Battaglia di lepanto del 1571, per altri ancora è da riportare alla disfatta dell’esercito turco nella Battaglia di Vienna 1683.
Secondo la mia modesta opinione la giusta ambientazione è quella tardo- cinquecentesca del 1571.
La “Parata o Sfilata” dei Turchi è la parte più originale, brillante e fantastica della Festa Popolare, sebbene abbia subito nel passare dei secoli parecchi ritocchi di novità e di progresso.
Intorno alla nave, ai “ bracciali” lucani, ai turchi ed al carro di San Gerardo gira la leggenda….