Va posto in essere un serio revisionismo sulle sue tesi, non disconoscendo l’esistenza di quanto sostenuto, ma socializzando che è una condizione irreversibile che esiste in tutto il mondo. Il sociologo andrebbe meno celebrato e più ridimensionato, abbandonando i vittimismi, soprattutto da parte di alcuni chiaromontesi. Ehi,, fratelli, riflettete: siamo come tutto il resto del mondo!
di Angelomauro Calza
…E alcuni chiaromontesi poco accorti, che non lo hanno studiato, lo celebrano invece di additarlo come colui che con il suo studio ha appiccicato addosso a Chiaromonte e al Sud Italia una etichetta negativa… Sì, proprio lui: Edward Christie Banfield, il sociologo ambizioso in cerca di un luogo qualunque per dimostrare a modo suo una teoria che aveva bisogno del giusto humus… per essere dimostrata dopo averla elaborata negli Stati Uniti.
Praticamente, lo hanno sparato a Chicago ed è caduto a Chiaromonte, potremmo metaforicamente sintetizzare utilizzando proprio un detto chiaromontese. Il “familismo amorale”…! …E che? Giusto a Chiaromonte e nel Sud saremmo stati e siamo ancora familisti amorali? Un vero, grande uomo del Sud, un principe-uomo del popolo, che di cognome faceva De Curtis, ma che – negazione del familismo – si faceva chiamare semplicemente Totò, avrebbe detto: “Ma mi faccia il piacere”! In realtà bisogna convincersi che Banfield, ipotizzata a tavolino la sua teoria, individuò in Chiaromonte il posto giusto per “ambientarla”. Magari anche raccogliendo sussurri e suggerimenti che giovavano ad opportunità di politiche internazionali dettate dagli Usa in quel periodo: Banfield mise piede su terra di Chiaromonte, per “dimostrare”, non per “studiare” e poi “elaborare”, come da decenni si millanta! Erano – quelli degli studi di Banfield – una Chiaromonte, una Lucania ed un Sud Italia di fine anni ’50 in cui i bisogni erano diversi, i sacrifici da fare e sopportare erano tanti, si era usciti da poco, dopo la prima, da una seconda guerra mondiale che aveva ulteriormente fiaccato famiglie, animi ed economie: il giusto humus per alimentare la teoria del “familismo amorale” (sempre Totò: “mò ci arrivo un attimo in Basilicata… sò soldi e fama. ecchè? So’ fesso io”?). Se si riflette su bisogni e situazioni sociali del momento, ci si rende facilmente conto che quel familismo era invece più che morale.
Uscivamo da due guerre mondiali, è normale che ciascun capofamiglia, contadino o operaio che fosse, cercasse di racimolare quel che era possibile in primis per se stessi e per i propri cari. Banfield parlava essenzialmente di bisogni materiali, “derivanti però da profondi atteggiamenti e convinzioni interiori” che di materiale avevano ben poco, ma venivano da lui strumentalmente utilizzati per poter dimostrare e rendere credibile la sua teoria. Altro che atteggiamenti e convinzioni interiori! In quel periodo al Sud bisognava pensare a sbarcare il lunario, a portare a casa qualcosa da poter mettere in tavola per i figli, esser degni di essere chiamati “papà” e convincersi già solo per questo che la propria vita avesse un senso e andasse vissuta fino alla fine: mica si era tutti ricchi, potenti o americani che approfittavano dei finanziamenti delle università per mantenere per lungo tempo le mogli in vacanza dai parenti nel Cilento mentre accolto come un Messìa uno se ne sta in un paesino servito e riverito!
Mica ovunque si trovano abitanti socievoli che trattano bene i forestieri, del tutto ignari della brutta etichetta che un ospite ingrato gli stava appiccicando addosso! Non ci voleva Banfield per scoprirlo, lui gli ha solo dato un nome: il “familismo amorale” esiste, è sempre esistito ed esisterà: perennemente, in eterno e ovunque, ed è quello dei baroni della medicina che impongono i propri figli come loro successori, la stessa cosa che fanno i politici, i professori universitari, gli avvocati, i notai, e potremmo continuare con qualunque potentato, attività o professione redditizia venga tramandata, per poi continuare con i piaceri reciproci che tali individui si scambiano, e poi con le organizzazioni criminali… Un micro-macrocosmo di persone – di certo non solo del Sud Italia – che possono essere definite in tanti modi, ma che di sicuro non sono quella “povera gente” che portava con dignità le pezze al culo pur di mandare avanti la famiglia nel difficile e duro dopoguerra, utilizzati e strumentalizzati dallo “studioso di Montegrano”. Ma queste cose perché Banfield non le ha scritte? Non se ne è accorto che la gente di Chiaromonte possedeva solo due cose, pezze al culo e dignità, o non gli faceva comodo scriverle? Non è stato forse lui accolto in una comunità fortemente “familista”, sì, ma “morale”? O pensava che fosse arrivato in paese un Santo e quindi era d’obbligo omaggiarlo? La verità è che un buon sociologo, se è anche furbo, sta bene attento a non ribaltare teorie da lui elaborate quando si rende conto che non sono poi del tutto aderenti alla realtà dei fatti. Un sociologo bravo e intellettualmente onesto quando si rende conto che le cose non stanno come da lui ipotizzato, rivede le sue teorie e scrive la realtà dei fatti, non scrive che in sole due occasioni il chiaromontese supera il suo essere familista, quando ci si sposa e quando si muore. Banfield non lo ha fatto, per cui due sono le opzioni: o non era un buon sociologo o non era onesto intellettualmente. Il Centro Studi a lui intitolato, allora, deve cambiare finalità e il Comitato Scientifico lavorare in un’altra direzione, perché tutti sappiano che da quello stesso paese oggetto di studi parte un’opera di revisionismo che riporti a verità la storia e le valutazioni: Chiaromonte allora non deve celebrare Banfield, ma ridimensionarlo, smascherarlo, renderlo umano e perciò non meritevole di tante attenzioni, se non quel tanto che basta per far sì che la gente – amministratori e politici in testa (che sono i maggiori soggetti che il familismo lo praticano e lo vivono…atkà la povera gente…) – comprenda che nessuno più di lui ha contribuito al rafforzamento dell’immagine negativa del Sud egoista ed accattone: è una immagine sbagliata! Non erano e non sono quelli del familismo amorale solo Chiaromonte e il Sud Italia, ma erano e sono quelli del familismo amorale Chiaromonte con il Sud Italia e con il resto del mondo, quello stesso mondo che vede i figli emergere ed ergersi per grazia ricevuta dal padre che quando non può arrovarci raccomanda ad altri padri.
Sarà per questo che anche Laura Banfield, figlia del sociologo, sarà presente al Convegno di sabato 27 aprile? Grazie al suo cognome (come i figli dei potenti di cui sopra)? Se così fosse avremo finalmente un elemento per dire che il familismo non è solo chiaromontese, ma quantomeno anche americano, ecchècacchio! …e che se per “nemesi storica” le colpe dei padri ricadono sui figli, per “familismo amorale” i figli godono del nome del padre. Ecco, cari chiaromontesi, su questo vi invito a riflettere. Ciascuno in piena libertà, ciascuno poi deciderà da che parte stare, così come io continuerò a riflettere come faccio da anni sul libro di Banfield, e anche se mi convinco sempre più della necessità di un revisionismo delle sue verità, non smetterò mai di farlo. L’invito è questo: almeno riflettiamo, con l’augurio che il Convegno del 27 aprile non si risolva nell’ennesima celebrazione a senso unico. Meno male che subito dopo suonano i Dirrupa Sound!
Bravo Angelo, condivido ogni singola parola.
C’è un chiaromontese poco noto vha ha scritto un volumetto, fatto avere al sindaco, quasi 60 anni dopo il soggiorno il Banfield a Chiaromonte, dal titolo : “Oggi al tempo del familismo amorale” (…come liberarsi dai demoni della società italiana). Il primo capitolo si intitola: Chiaromonte capitale d’Italia.
Non sapevo. MI piacerebbe leggerlo. Come posso muovermi per averlo? Magari anche in PDF
Ho letto con attenzione la tua analisi molto profonda e condivido in pieno il contenuto della stessa
Ho letto con attenzione la tua analisi molta profonda e condivido in pieno la stessa